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Mi è bastato scrivere il titolo di quest’articolo ed ecco che mi si visualizza in testa l’immagine dell’ennesimo genitore che si siede in studio davanti a me e mi corregge: “Guardi dottoressa, forse non ha capito proprio, il problema con mio figlio è che NON si muove! Non lo schiodi dal divano, passa il pomeriggio tra la Play e il cellulare, o al massimo si butta sul letto con le cuffie nelle orecchie … altro che adolescenti in movimento!!”

L’obiettivo di questo articolo è tentare di vedere oltre le apparenze: cosa si nasconde dietro a quell’indolenza adolescenziale che irrita tanto noi adulti, abituati all’efficientismo produttivo per il quale tutto il tempo non lavorato è tempo perso?

Lavorando con gli adolescenti (…e con i loro genitori) sono sempre grata a Donald Meltzer che, alla fine degli anni ’70, elaborò una teoria sulle dinamiche adolescenziali che schematizza “i 4 movimenti dell’adolescente”.

Secondo l’autore, l’adolescente si trova in constante movimento, spostandosi in avanti e indietro fra quattro posizioni: indietro verso il mondo della propria infanzia, in avanti in direzione dell’adulto, di lato tra gli altri adolescenti, su sé stesso in una posizione di isolamento.

Provate a pensare un attimo a vostro figlio: quante volte lo sentite dire: “Sono sempre io, non sono cambiato!” o “Non voglio crescere!”. Quante volte mostra gelosia verso quel fratellino più piccolo che ancora gode senza imbarazzo delle coccole della mamma? O rispolvera con un pizzico di nostalgia gli scatoloni con i giocattoli di quando era piccolo?

Ecco il movimento all’indietro: tramite esso l’adolescente si oppone al cambiamento e non accetta la fine delle sicurezze e delle certezze dell’età infantile. Sente che sta per ripetersi un’altra separazione dai genitori che richiama quella avuta dalla madre nei primi mesi di vita, quando ha dovuto abbandonare il rapporto di simbiosi con lei per iniziare ad esplorare il mondo. Ovviamente tale separazione fa paura: è proprio per questo che a volte è rassicurante muoversi all’indietro, verso le certezze del passato.

Ma so già che in questo momento vi riecheggiano nelle orecchie le parole di vostro figlio che dopo l’ennesimo litigio vi urla dietro: “Quando avrò 18 anni …!” o “Non vedo l’ora di andarmene da questa casa!” o “Se voglio, io posso fare tutto!”. Infatti allo stesso tempo l’adolescente è spinto in avanti, verso il futuro, dove sente che tutto è possibile, e continua a proiettarsi in questo mondo, a volte con un esame di realtà che si appare deficitario.

Questo movimento compensa il movimento all’indietro consentendo all’adolescente di “sostituire” ciò che è perso con mete e investimenti nuovi.

Come riesce a sostenere questi due movimenti che lo spingono in direzioni opposte l’una all’altra?

Muovendosi di lato, vivendo con i suoi coetanei, con il gruppo degli adolescenti, passando attraverso l’omologazione con il gruppo per giungere alla costruzione della propria identità. Ecco perché è così importante per il ragazzo di questa età sentirsi “normale”, come tutti gli altri, ed ecco perché come genitori ci sentiamo spesso declassati, messi in secondo piano perché prima vengono gli amici. È tutta salute! È il gruppo dei pari infatti che permette all’adolescente di sopportare il dolore delle perdite e delle sicurezze infantili e che allo stesso tempo lo prepara all’ingresso nella società adulta, con le sue regole da rispettare.

Ma cosa dire di tutte quelle occasioni in cui nostro figlio ci disarma con domande esistenziali del tipo: “Perché si nasce? Qual è il destino dell’uomo? Chi sono io? Qual è il senso del mio agire?” Meltzer parla di un quarto movimento, quello dell’avvitamento su di sé, che vede l’adolescente alla ricerca di un’auto-conoscenza, di una ridefinizione di sé e della propria identità, attraverso l’isolamento e la differenziazione (all’opposto di quello che accade con il movimento di lato). Egli vuole rispondere in prima persona delle sue scelte e azioni, e tutto questo richiede tempo ed energie: pomeriggi passati sul letto a fissare il vuoto con in sottofondo l’eco del genitore che gli urla i mestieri da fare, non capacitandosi di quanto tempo possa perdere un ragazzo di 15 anni. Ma forse per lui quel “fare niente” è davvero la cosa più importante che possa fare in quel momento, perché non è tempo “vuoto” quello, ma pieno di sfide, domande aperte e tentativi di risposte, connessioni cerebrali che si creano, mondi che si spalancano, decisioni fondamentali che si prendono su chi sarò io, cosa voglio fare della mia vita, in che direzione muovermi.

Ecco allora che forse la posizione migliore da tenere come genitori è quella del compagno di viaggio, più saggio, esperto, ma estremamente rispettoso e curioso verso quel piccolo adulto in miniatura che è vero, viene da me, ma non è una mia fotocopia, né un giocattolino di cui pretendere di avere il libretto delle istruzioni per l’uso.

Mi viene in mente l’immagine del mio istruttore di scuola guida (…sarà l’aver nominato i 18 anni?): si sedeva accanto a me, dopo avermi dato le indicazioni necessarie per tenere in vita un’auto senza creare eccessivi danni, ma poi mi lasciava fare, e taceva, aveva fiducia in me, pur mettendo in conto inevitabili errori, frenate brusche, partenze in terza, pedoni non visti … Io provavo un po’ il brivido per quella nuova avventura, ma ero anche sicura che nel caso di una mia mossa un po’ troppo fuori luogo ci sarebbe stata la sua pronta frenata a salvarmi la pelle, e magari se ce n’era bisogno anche una sonora sgridata…  Ma intanto mi ha insegnato a guidare, e da allora ho percorso centinaia di migliaia di chilometri!

Penso possa essere un bell’augurio per noi genitori: imparare ad esserci, ma”il giusto”! E gustarci i loro movimenti, magari così impacciati all’inizio, certi che si potranno trasformare in una danza armoniosa ed unica!

Dott.ssa Elisa Baccarini – Psicologa, Psicoterapeuta